Ricordiamoci che la nostra “visione del mondo” rimane sostanzialmente un “modo di vedere” il mondo, ma è anche e soprattutto un “modo di guardare” posto all’interno di uno schema pre-concettuale reattivo rispetto all’immediatezza dell’esperienza.
Così il come vediamo noi stessi anche nella nostra corporeità, è in relazione al come ci consideriamo all’interno del contesto del mondo sociale, naturale e cosmico entro cui si manifesta la nostra esistenza. È necessario domandarsi se tuttavia è possibile, pur considerando sempre il contesto culturale in cui avviene un’esperienza, uscire dallo schema reattivo di una visione pre-confezionata che applichiamo alla realtà.
Nella pratica dello yoga si potrebbe dire che questo aspetto di ri-partenza da noi stessi rappresenti un postulato e un manifesto, e questo è: la possibilità di sospendere il pre-giudizio nell’esperienza.
Coscienza eidetica e concezione cosmologica
Quello che definiamo in questo contesto “cosmologia”, è piuttosto una “cosmo-visione”, che questa volta può nascere non da un sapere appreso “ontologicamente” (dall’esterno in modo indiretto), ma constatabile all’interno dell’esperienza diretta “onticamente”, in una sorta di intuizione eidetica, quella visione dell’essenzialità che diviene chiara e distinta.
Parliamo di una visione chiara, ma intuitiva, una visione nuova e profonda in cui siamo, in cui sentiamo. Non stiamo parlando di un’idea che sorregge come postulato una nostra nuova struttura logica – non a partire dall’astrazione, almeno – ma di una chiarezza che viene dal risveglio e pulizia sensoriale e percettiva che ci permette finalmente di “vedere” senza disturbi e di “accorgerci”: questa è la novità della pratica che ci rinnova.
Come ripeteva poeticamente Raimon Panikkar “…la via più breve per le stelle, passa per il cuore”, ed è in questo senso che parliamo di coscienza-intuitiva immediata e istantanea.
Una conoscenza che annulla ogni concetto e misurazione, irripetibile e irriproducibile nelle stesse modalità in cui è avvenuta, dunque parliamo della possibilità di accedere ad una condizione esistenziale autentica, unica e ciò nonostante condivisibile.
È la dimensione della percezione che ci apre l’accesso alla possibilità di esserci “…di istante presente, in istante presente” come descrive magistralmente Patanjali negli Yoga-Sutra.
Come percepiamo il mondo rispetto a noi stessi
La distanza e vicinanza appartengono al nostro sentire, non sono la distanza-vicinanza oggettiva; la misura, in relazione a quello che sta fuori, è sempre dentro di noi. Di conseguenza, ciò accade anche a livello fisiologico; il nostro “sentirci” dipende anche dal nostro “vederci”: fisiologia e fisio-visione sono in relazione diretta.
Proviamo allora ad entrare in questa nuova visione in cui la corporeità non è più solamente metafora meccanica del corpo-macchina perfetta, ma dimensione poietica-creativa e vitale, che si svolge di istante in istante come rinnovamento costante e rivitalizzazione, gettando una luce diversa su noi stessi e sul mondo, a partire dall’ascolto e dalla presenza del come siamo nel momento presente.
Così, questa diversa interpretazione del come siamo, apre e interroga al contempo il chi siamo, e qui dobbiamo fermarci e ricordare che la nostra destinazione determina sempre la direzione e il senso stesso del viaggio.