Tendenzialmente la nostra dimensione percettiva rimane orientata da una condizione selettiva e specifica che chiamiamo “MENTALE”; è questa facoltà che la nostra antica tradizione filosofica occidentale chiamava RAGIONE CALCOLANTE.
È quindi da questa ragione calcolante che dobbiamo partire, tenendo conto che essa giudica e separa, conosce per similitudine e opposizione, e come tale si pone pre-concettualmente e in un modo REATTIVO (in quanto non accoglie ma reagisce, non cede ma prende) rispetto ad ogni esperienza che andremo a fare.
Ciò significa che dall’esperienza viene espulso – o se preferiamo dire RIMOSSO – l’elemento o gli elementi che riteniamo non interessanti o negativi, ma in questo modo riduciamo anche inevitabilmente il campo della nostra conoscenza.
Allora per poter DIGERIRE anche questi elementi inaccettabili è prioritario allargare il CAMPO COSCIENZIALE PERCETTIVO, aprendo quel registro mentale dei nostri pregiudizi che difendono i sicuri confini della nostra ignoranza (nei sutra è AVIDIA, l’ignoranza di chi pensa già di sapere).
Fare questo è possibile? Lo yoga nell’esperienza concreta e diretta della pratica risponde di sì!
È possibile allargare il campo, lo spazio di coscienza, ma solo partendo dal mettere tra parentesi, dal sospendere, da non calare immediatamente sulla realtà il velo della rappresentazione mentale, astenendoci dal trasformare i nostri preconcetti in atteggiamenti o azioni.
È possibile a partire dall’abbandonarsi all’incertezza, invece di rimanere imbrigliati nelle trappole della dimensione della critica della realtà, che ci paralizza in un’esistenza omissiva, giustificata dalla nostra iper-analitica, che ci rende rancorosi e indifferenti al SENTIRE.
Dobbiamo incominciare a prestare ascolto, a donarci ad una presenza fiduciosa e disinteressata che rinunci ad un’utilità immediata riguardo a quello che stiamo facendo.
Poi, non escludendo, ci accorgiamo di quello che era già lì, ma che ora integriamo nella nostra comprensione; cogliamo quella dimensione di non-conflitto, di non-giudizio, di non-paragone, in cui riusciamo finalmente a sentire.
Ci caliamo così in una dimensione che non dà più così importanza all’oggetto della nostra conoscenza, al “cosa” sentiamo come definizione e non come un vissuto.
Questo terreno è quello del “modo” in cui percepiamo, dove è importante non il “cosa” ma il “come” stiamo ascoltando.
Ora stiamo ascoltando la nostra PRESENZA INTENSA E VITALE, in cui si mescolano le differenze, in cui analizzare e distinguere non è più così importante, perché siamo andati oltre, siamo arrivati alla COMPRENSIONE DEGLI OPPOSTI.
È una vertigine che proviamo sentendo i piedi per terra nella loro salda base d’appoggio che ci sostiene, sentendo la colonna vertebrale che si allunga allineandosi alla verticalità del cielo, sentendo la forza delle nostre braccia aperte alla relazione col mondo intorno: anche questa è meditazione, una meditazione contemplativa.